DISPOSITIVI DELLA MEMORIA
MENGFAN WANG
MARGHERITA PEDROTTA
24.09– 24.10.25

DISPOSITIVI DELLA MEMORIA
MENGFAN WANG
MARGHERITA PEDROTTA
Opening 23/09/2025 h 18:00
24/09 > 24/10/2025
Corso Monforte 23
Milano
martedì-venerdì 12:00 > 19:00
O su appuntamento
Per maggiori informazioni:
info@npartlab.com
MENGFAN WANG
MARGHERITA PEDROTTA
Opening 23/09/2025 h 18:00
24/09 > 24/10/2025
Corso Monforte 23
Milano
martedì-venerdì 12:00 > 19:00
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NP-ArtLab presenta Dispositivi della Memoria, un’esposizione che unisce due pratiche artistiche distinte in un dialogo intimo e stratificato sul ricordo, il trauma emotivo e il cambiamento interiore.
La mostra mette in relazione due opere che, pur operando con linguaggi e materiali differenti, convergono nel desiderio di dare corpo alla memoria e alle sue trasformazioni. Da un lato, ProjeRicordi di Mengfan Wang (Pechino, 2000), dall’altro testimone 1, 2, 3, 4 di Margherita Pedrotta (Ivrea, 1998): due percorsi che si intrecciano per interrogare il confine tra ciò che resta e ciò che si perde nel tempo.
Nel suo progetto fotografico, Mengfan Wang affronta il tema del trauma e della memoria filtrandolo attraverso l’immagine del paesaggio naturale. Utilizzando la tecnica sperimentale del film soup — in cui le pellicole vengono trattate con sostanze come vodka e limone — l’artista genera fotografie visionarie e instabili, dove la chimica diventa metafora della psiche. Le immagini, segnate da corrosioni e alterazioni cromatiche, evocano frammenti di ricordi distorti, a metà strada tra realtà e oblio. I soggetti naturali — alberi, fiori, animali — assumono il ruolo di presenze silenziose, osservatrici di un tempo interiore, sospeso tra permanenza e dissoluzione.
A queste visioni si affianca la ricerca installativa di Margherita Pedrotta, che propone una riflessione sulla trasformazione della materia come riflesso dei processi emotivi. In testimone 1, 2, 3, 4, quattro contenitori metallici custodiscono bouquet composti da materiali artificiali — gesso, acqua, butadiene — sottoposti a ripetuti cicli di gelo e disgelo. Il lento scioglimento del ghiaccio, percepibile attraverso il suono, scandisce un tempo dilatato, in cui la conservazione del ricordo si confronta con la sua inevitabile mutazione. I fiori, pur non essendo vivi, raccontano storie d’amore e di assenza, diventando figure rituali e fragili portatrici di memoria affettiva.
Le due opere, pur così diverse, si rispecchiano l’una nell’altra: entrambe esplorano come il ricordo non sia mai una forma fissa, ma un continuo movimento. Nei paesaggi alterati di Wang come nelle materie che si sciolgono nell’opera di Pedrotta, la memoria non si conserva, ma si trasforma, si smaterializza, si rivela nel cambiamento. È un corpo vivo e vulnerabile, che filtra emozioni, trattiene tracce, ma anche resiste e si dissolve.
La mostra diventa così un percorso sensoriale e simbolico sulla memoria come processo, non come archivio. Una soglia emotiva in cui materia e immaginazione si incontrano, raccontando ciò che rimane, ciò che cambia, e ciò che – forse – non può più essere ricordato.




PER SENTITO DIRE
Giulio Polloniato
30.08– 23.11.25

PER SENTITO DIRE
Giulio Polloniato
Testo a cura di Edoardo Lazzari
Inaugurazione 30/08/2025 h 12:00
31/08 > 23/11/2025
Pop (the Chapel) up
Galleria Tommaso Calabro
Campo San Polo 2177, Venezia
Marostica, 5 aprile 2084
“Il cannone ha squarciato il cielo! Il cannone ha squarciato il cielo! I cannoni antigrandine, strumenti emblematici dell’ingegno umano, sono il motore di una catastrofe senza precedenti. Un boato anomalo ha attraversato le colline punteggiate di ciliegi e il cielo ha iniziato a squarciarsi. Migliaia di frammenti luminescenti si sono staccati dalla volta celeste, cadendo al suolo in una pioggia di schegge incandescenti. Ora il cielo è un mosaico disordinato, le scienziate osservano con sgomento l’accaduto. I frammenti sono raccolti tra i frutteti in fiore”.
In un tempo prossimo e immaginato, un suono umano infrange il firmamento. L’invenzione dei cannoni antigrandine — tecnologia della superstizione — deflagra sulle colline dei ciliegi e scatena una frattura cosmica: il cielo cade a pezzi, in frammenti di ceramica smaltata e stelle stilizzate.
La mostra Per sentito dire, titolo che l’artista Giulio Polloniato sceglie di reiterare e rifrangere a seconda del contesto, raccoglie e dispone nello spazio i resti di questo evento impossibile. Cinque “stracci stellati” in ceramica refrattaria, disposti come panni rituali o reperti geologici, si adagiano lungo le colonne della cappella; un sesto lambisce il bordo del pozzo, come se l’acqua potesse restituire al cielo la sua immagine. Al centro, una maiolica dipinta — trasposizione pittorica di fotografie scattate nei boschi di Marostica nel 2020 — registra la presenza delle strutture antigrandine: coni metallici, silenziosi monumenti a un gesto tecnico inefficace.
La tensione tra immaginazione e fallacia tecnica, tra memoria e credenza, è il cuore del lavoro. Come nella tradizione della fabula speculativa, la finzione diventa strumento critico per rivelare la verità di un paesaggio sonoro violato. La pressione sonora dei cannoni, infatti, decade esponenzialmente con la distanza, fino a ridursi a un mero schiocco di dita nel cuore delle nuvole. Nessun effetto reale, se non l’insistenza rituale di una tecnologia trasformatasi in mito: un sapere per sentito dire che si tramanda più per necessità di rassicurazione che per efficacia.
Nel gesto di raccogliere i frammenti di cielo e trasporli in ceramica, Polloniato compie una ritualizzazione del fallimento e una cura per l’effimero che si fa materia. Il cielo si fa coccio, e il firmamento si irrigidisce in forma di tessuto spezzato. Come nei “cieli minerali” di Roger Caillois o nei “pezzi staccati” di Jannis Kounellis, la materia qui assorbe il peso del tempo e dell’errore umano.
Il lavoro sfiora il pensiero della chimica e filosofa Isabelle Stengers, per la quale “ogni tecnologia è anche un modo di abitare il mondo”. I cannoni antigrandine non sono soltanto dispositivi: sono gesti epistemici, atti performativi che rivelano un rapporto distorto con il non-umano — un’ostilità mascherata da tutela agricola, una guerra sonora condotta contro le nuvole.
Per sentito dire diventa così un archivio di resti e superstizioni, un mosaico di frammenti raccolti a terra e disposti come reliquie di un evento che forse non è mai accaduto. La ceramica, con la sua doppia natura fragile e resistente, custodisce la memoria di un cielo impossibile: un firmamento che non si osserva più, ma si ascolta — o, meglio, si immagina — attraverso racconti tramandati, più vicini alla leggenda che alla prova.
Eppure, tra il peso della materia e la leggerezza del racconto, rimane uno spazio d’ascolto: quello che si apre quando il rumore cessa e si resta soli, sotto un cielo rotto, a misurare la distanza tra ciò che crediamo e ciò che davvero accade.
Edoardo Lazzari
UN CIELO PER ICARO
Leonardo Dalla Torre
Frédérique Nalbandian
14.08– 14.09.25

UN CIELO PER ICARO
Leonardo Dalla Torre - Frédérique Nalbandian
Opening 13/08/2025 h 18:00
14/08 > 14/09/2025
San Francesco
Ventimiglia Alta
La mostra propone l’incontro tra due artisti contraddistinti da due pratiche formalmente diverse: Leonardo Dalla Torre, giovane pittore veneziano, e Frédérique Nalbandian, artista middle-career francese, che utilizza nella sua pratica scultorea e installativa due materiali di predilezione, il sapone di Marsiglia e il gesso.
Partendo dal concetto di cielo rovesciato nel pensiero di Bataille (Billom, 1897 - Parigi, 1962), il titolo della mostra vuole evocare i concetti di vuoto, pienezza e gravità, a cui le opere degli artisti rimandano, sintetizzati nella figura di Icaro, che sfida il destino e si arrende alla vertigine della sua caduta. Gli ambienti sgombri della chiesa si prestano a loro volta ad accogliere questi lavori, in un dialogo reciproco scandito da sottili rimandi.
Lungo gli altari laterali della navata, le tavole di Leonardo Dalla Torre (Venezia, 1995) non si collocano a riempimento delle nicchie, ma sono disposti alla loro base, come ad assecondare e intensificare il vuoto soprastante. L’artista presenta frammenti di corpi e carne, alternati a volti che richiamano antiche sculture religiose. Le figure sembrano stanche, ripiegate su loro stesse, deformate: si sciolgono come cera, sfuggono ai margini delle tavole, sottraendosi alla narrazione. L’iconografia si dissolve, lasciando solo l’eco di ciò che è stato. Le sue immagini portano i segni di un tempo consumato, di un evento già avvenuto del quale si può solo intuire il compimento.
Frédérique Nalbandian (Mentone - FR, 1967) interviene nello spazio con sculture in sapone di Marsiglia e gesso, materiali inediti e dalla forte simbologia, che esplorano tematiche come la fragilità, la cura e la resistenza allo scorrere del tempo. Le sue installazioni, in dialogo con gli elementi architettonici della chiesa, emulano le strutture tipiche degli edifici religiosi, sottolineandone la solidità tradizionale. Una cascata di rose rosse in gesso, che si riversa nella navata, dona invece un senso di freschezza e vitalità. Qui, la rosa – emblema di bellezza, amore e caducità – viene annegata nel gesso, per conservarne la memoria in forma “eterna”.
Attraverso un gioco di raffinati rimandi con l’architettura che le ospita, le opere dei due artisti offrono a San Francesco una nuova interpretazione dello spazio, invitando il visitatore a un diverso tipo di contemplazione, che va oltre il contesto religioso per esplorare il significato simbolico dell’architettura. Vuoto e pieno si armonizzano così in un equilibrio sottile, fatto di risonanze silenziose e accurate allusioni.
Leonardo Dalla Torre è nato a Venezia nel 1995. Cresciuto nel centro storico della città si è diplomato al Liceo Artistico Statale di Venezia nel 2013, proseguendo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia diplomandosi in Pittura nel 2017 e in Grafica d’Arte-Disegno nel 2019. Come pittore approfondisce la propria ricerca indagando come principali tematiche la figurazione e il ritratto. I modelli utilizzati attingono sia dalle immagini della Storia dell’Arte e dalle forme della pittura del passato, così come da un differente immaginario, alienando le differenze contestuali, accumunando i caratteri espressivi del corpo e della carne, rilevandone i sintomi e l’apertura in una pittura che cerca l’incombenza di una calamità, sospendendo le immagini in una deflagrazione perpetua.
Frédérique Nalbandian (Mentone, 1967) è un’artista multidisciplinare francese: scultrice, realizza anche disegni, installazioni e performance. Dopo aver seguito i primi corsi di disegno alla Davis High School in California, nel 1988 entra nell’École Nationale d’Art Décoratif d'Aubusson, per poi essere ammessa all'École Nationale Supérieure d'Art di Villa Arson nel 1989. Nel 1994 ottiene una residenza artistica dedicata al disegno presso la Fondazione Ratti di Como, sotto la direzione di Anish Kapoor e Karel Appel. Nel 1996 consegue il Diplôme National Supérieur d'Expression Plastique (DNSEP).
Le sue sculture di sapone si evolvono sia dall’interno che dall’esterno, trasformandosi nel tempo e necessitando talvolta dell’interazione attiva del visitatore. Nelle sue opere utilizza anche materiali poveri come gesso, tessuto, fili di lana, vetro, terracotta. Modellando il sapone, crea forme che sospende o lascia evolvere nel tempo, che diviene perciò elemento fondamentale nelle sue opere. Il suo vocabolario di forme plastiche è in continua espansione: rotoli, frammenti, colonne, pareti, corde, ma anche elementi direttamente legati all'anatomia del corpo umano (orecchie, cervelli, pelli, teschi, mani). Le sue forme, nella loro composizione e nel processo che subiscono, diventano poetiche, cariche di una metafisica della materia che evoca il passaggio del tempo, l’erosione, la trasformazione e la metamorfosi. L'allusione al testo Le Savon di Francis Ponge è stata sin dagli inizi fondamentale per la sua produzione e si è rafforzata nel 2015 a Cerisy in occasione di alcuni laboratori dedicati allo scrittore, dove ha incontrato Pascal Quignard.
RAOUL SCHULTZ (1931-1971)
Artista per attitudine
Opening 1/04/2025 h 12:00
2/04 > 22/05/2025
NP ArtLab in collaborazione con Archivio Raoul Schultz
Corso Monforte 23
Milano
martedì-venerdì 12:00 > 19:00
O su appuntamento
Per maggiori informazioni:
info@npartlab.com
NP ArtLab presenta “Raoul Schultz. Artista per attitudine”, una mostra dedicata all’artista poliedrico che ha avuto una breve carriera artistica a Venezia a causa della sua prematura morte nel 1971. Negli anni Cinquanta e Sessanta la sua pratica artistica è mutata velocemente: da una pittura figurativa poi evoluta all’astrazione spazialista tipica dei maestri del tempo come Vedova, Guidi e Tancredi (con cui condivise lo studio per un periodo), ad una visione più concettuale sicuramente sviluppata dal suo grande interesse per i nuovi scenari artistici internazionali. Per questa ragione non ebbe il riconoscimento che merita e venne solo in seguito riscoperto già dagli anni ’80, per esempio, con la mostra della Galleria del Naviglio del 1988.
Schultz fu pittore, illustratore, scenografo e grafico, e collaborò con il regista Tinto Brass nel film Chi lavora è perduto (1963). Inoltre, frequentò il mondo del fumetto collaborando con il celebre Hugo Pratt.
Questa esposizione si inserisce in un periodo di riscoperta e valorizzazione dell’artista di cui è stata appena inaugurata un retrospettiva intitolata Raoul Schultz. Opere 1953-1970, curata da Stefano Cecchetto ed Elisabetta Barisoni, ospitata nella prestigiosa sede di Ca' Pesaro a Venezia.
È proprio un testo di Stefano Cecchetto ad accompagnare la mostra.
Geniale, creativo, irriverente, ironico, la figura di Raoul Schultz si colloca in quella parte di Novecento che ha sviluppato la pittura come un linguaggio frammentario, volutamente mirato a una pulsione trasgressiva.
I diversi periodi che compongono l’opera di questo artista sono dominati da una luce d’intelletto e riscattati dal lirismo di una pura felicità formale. In ogni suo ciclo d’espressione: dalle Prospettive curve ai Progetti da disegni Leonareschi, dai Calendari alle Lettere anonime, dal Fumetto alla Pittura a metro, per arrivare infine alle Toponomastiche, tutta la sua ricerca mira all’abbagliante incantesimo del momentaneo, a una personale astrazione da mode o correnti stilistiche per la definizione di un pensiero che filtra la quotidianità e la sposta fuori dal consueto.
Questo suo annettere l’opera allo sviluppo di una concezione seriale permette a Schultz di andare a fondo nei concetti che intende analizzare, così facendo, la ‘serie’ diventa un procedere simultaneo dentro al quale si evince la coesistenza di ordini e livelli paralleli. Del resto, ogni serie si espande e si conclude nell’arco di un ciclo che lo stesso artista determina in un periodo prestabilito.
Le molte partenze che contraddistinguono il percorso artistico di Schultz sono dovute alla costante ricerca di una forma distinta, volta a conferire alla sua pittura non la semplice variante di un tono espressivo, ma la concreta realtà di un punto di vista interiore: nell'opera di Schultz ogni spazio abitato dal segno è uno spazio dell’anima.
Ecco perché prendono forma le suggestioni di un tempus fugit nella poetica straziante dei suoi Calendari, ed è qui che l’artista suggerisce l’inconsapevole premonizione della sua fine prematura. Nel susseguirsi spasmodico dei giorni 'strappati' al calendario – e di conseguenza anche alla vita stessa – l'artista mette in scena l'inquietudine dell'incertezza, il tempo diventa quindi fonte di indagine continua, o meglio uno dei temi fondamentali intorno al quale ruota la quasi totalità della sua produzione degli anni sessanta.
Il destino di Raoul Schultz era dunque quello di mancare inevitabilmente il proprio destino, e a voler capovolgere questo presagio non rimaneva che una possibilità: quella di rappresentarlo, raccontando le tante storie che percorrono il dialogo tra l'uomo e sé stesso, tra il pensiero e i pensieri, tra l'artista e la sua arte.
Stefano Cecchetto





FRANCA VALERI: SENTIERI D’ARTE PER LA LIBERTÀ FEMMINILE
Franca Valeri, Mirella Bentivoglio e Maddalena Tesser
a cura di Renata Bianconi
Opening 3/03/2025 h 12:00
4/03 > 20/03/2025
NP ArtLab in collaborazione con Fondo Franca Valeri - Accademia dei Filodrammatici Milano
Corso Monforte 23
Milano
martedì-venerdì 12:00 > 19:00
O su appuntamento
Per maggiori informazioni:
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“Franca Valeri la donna di spettacolo più importante del ‘900 del nostro paese” (Alessandro Gassman, Colpo di scena, Rai 2014)
Artista poliedrica, attrice, scrittrice, regista, drammaturga, la prima delle monologhiste, la prima donna comica, insignita della Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, e della Dama di Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Pur non dichiarandosi apertamente femminista, Franca Valeri, con il suo esempio e la sua Arte, ha dato un contributo essenziale all’emancipazione della donna. Ha sempre sfidato i meccanismi della società patriarcale, “I suoi personaggi femminili”, scrive Alexandra Ammendola,”erano forti e indipendenti e andavano contro i ruoli tradizionali”. Nella prefazione al libro “Franca Valeri. Tutte le Commedie” Lella Costa dichiara: ”La rivoluzione [...] lei l!ha fatta senza proclami, senza bollettini di guerra, senza spargimenti di sangue o
di detersivo [...]: l!ha fatta dando voce e corpo a quelle parole contundenti, usando qualunque mezzo, dalla radio al cosiddetto cabaret, dalla televisione al cinema, dal teatro all’opera lirica. L!ha fatta col sorriso appena accennato, con la vertigine della comicità più pura, con la sapienza delle trame, con la pietas travestita da ironia. Se non è una guerriera lei, non ne conosco nessuna.”
La sua sottile ed inarrestabile battaglia inizia presto, inizia prima di Franca Valeri, quando ancora era Franca Norsa, suo vero nome, è questa storia, questo percorso che possiamo vedere, grazie all’immenso contributo del Fondo Franca Valeri dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano, nella mostra presentata, in occasione di Museocity 2025, da NP ArtLab a cura di Renata Bianconi.
Sagace, intelligente, ironica, fin da bambina ha con sguardo disincantato e divertito irriso agli stereotipi imposti dalla società ed è proprio questo sguardo che le verrà in aiuto in uno dei momenti più tristi della sua vita, la guerra e le leggi razziali, che la costringeranno nel 1938 a nascondersi. In questo isolamento, Franca Norsa, allora diciottenne, disegna su dei piccoli Taccuini, qui esposti al pubblico, ritratti di donne emancipate, donne di fantasia, donne moderne, spavalde, ritratte al bar, con la sigaretta, sul tram..., donne che affrontano la vita a testa alta, con fiducia, senza appoggiarsi a niente e a nessuno.
Invero la strada percorsa da Franca Valeri nei suoi 100 anni di vita, non è una strada solitaria è una strada maestra che apre altre strade, che si incrocia e si divide in sentieri che costruiscono un nuovo paesaggio, una nuova società. E’ cosi che i ritratti di Franca Valeri s’incontrano con quelli della giovane pittrice Maddalena Tesser, classe1992, che con la forza e l’immediatezza del suo tratto ci regala immagini d’icone della libertà femminile come Franca Viola, la prima donna a dire “no” al matrimonio riparatore, o come Simone de Beauvoir, Josephine Baker, Maria Callas..., artiste e pensatrici rivoluzionarie.
Allo stesso modo la forza elegante delle opere di Franca Valeri riecheggia nelle splendide sculture in marmo (libri aperti che sorreggono delle uova - immagine più simbolica non potrebbe esserci) di un’altra grande protagonista dell’arte italiana, Mirella Bentivoglio, poetessa, artista, critica, protagonista del mondo della ricerca verbovisuale italiana e internazionale. Nel 1978 per la 38a Biennale di Venezia curerà la mostra Materializzazione del linguaggio ai Magazzini del Sale, che accoglie esclusivamente opere di artiste donne, e che rappresenta a tutt!oggi un unicum emblematico del lavoro delle artiste di quegli anni.
Insomma in conclusione per dirla come lo dice Franca Valeri “il femminismo non è una militanza, è un sentimento”.
Un ringraziamento particolare a:
Dott. Carlo Marietti Andreani
Presidente - Accademia dei Filodrammatici
Dott.ssa Alexandra Ammendola
Autrice dell’elaborato “Franca Valeri attrice comica. Studio di Scene di vita da La Maria Brasca di Giovanni Testori”
Dott.ssa Elisa Battistoni
Segreteria Generale e Organizzazione -Accademia dei Filodrammatici
Dott.ssa Lucia M. Fagnoni
Bibliotecaria e Archivista - Accademia dei Filodrammatici

